Giuseppe De Simone
DES: Una vita di bolina
L’Istituto Bachelet a Taranto negli anni ’80 era un luogo secondario, una succursale della sede principale, tolto ad abusivi che erano stati fatti sgomberare a forza dalla polizia per installarvi una scuola di ragioneria. Non certo il luogo piu’ allegro per un quindicenne come Giuseppe De Simone che aveva ben altri interessi. Ma quei banchi riciclati dalla scuola principale, in masonite verde, con le gambe di metallo e la loro superficie scorticata, tagliuzzata, vissuta, pasticciata, teatro di espressione di centinaia di ragazzi disperati nella loro profonda noia, erano oggetti a cui Peppe si affezionò immediatamente.
La loro superficie chiedeva la sua attenzione. E così iniziò ad usarli come tavolozze. Colori da matite e lapis spuntati e rosicchiati, righe incise nella plastica con penne biro, superfici colorate con gessetti, di tutto insomma. E il banco diventava un oggetto di espressione dello stato d’animo di Peppe. Finiti di dipingere tutti i banchi della sua classe (che’ i compagni di classe si divertivano a sottoporgliene uno nuovo ogni tanto) passò alle altre classi, e iniziò a scegli erli, questi banchi , in base alle superfici, alle forme, ai colori.
Si può proprio dire che Peppe iniziò a dipingere sui banchi di scuola. Piu tardi, dovendo scegliersi un lavoro, la passione per forme e colori si rivolse al mondo della moda. Una scelta molto attuale all’ inizio degli anni ’90, quando la moda italiana viveva un boom internazionale trainato dal successo del pret-a-porter.
Furono anni facili ma convulsi, intensi ma stancanti. Per fortuna gli oggetti che trattava, abiti, maglie, abbigliamento in pelle, avevano una loro bellezza e uno stile che lo affascinava. Si trattava pur sempre di materiali colorati, con uno spessore, superfici sempre diverse, quasi tavolozze di per sé. Un’esperienza interessante ma non completa. Mancava qualcosa. Mancava la possibilità di esprimersi, di trovare quel senso della vita che aveva trovato colorando i banchi di scuola. Allora, una svolta. Beppe si chiude in una mansarda in una villa sul mare.
Lì inizia a dipingere ad olio a smalto. La luce che entra dalle grandi vetrate lo ispira. C’è il mare la fuori, c’è l’umidità della notte e il sole sulla spiaggia, e qui, dentro questa gabbia di vetro, c’è Peppe che impiastra tele su tele; in uno sfogo creativo che non conosce limiti. Ma l’amore per le pelli, la materia, la plastica, gli oggetti, gli è rimasto dentro. E allora un’ altra svolta, a cercare altra materia da convertire in arte. I cartoni. Quelli che usava nella sua vita precedente, quando trattava di moda. E poi quelli che trovava nei cassonetti, usati, piegati, stropicciati, ma con scritte interessanti.
Ritagliava queste scritte; e li convertiva in collage applicandoli su pannelli di legno, anche quelli trovati per strada, scartati, che sembravano finiti. Ma ecco che rinascono a nuova vita, coperti dai cartoni, dalle scritte, oggetti trovati, contachilometri, orologi, manine di ceramica tolte da una bambolina, tessuti, pezze, T -shirts, ….
E da questo materiale abbandonato, nasce un’opera d’arte. Cartoni rianimati. Come le persone. Si arriva a volte a momenti nella vita in cui ci si sente rifiutati da un mondo che non ci appartiene, finiti. Ma vi è sempre una via per rinascere, e l’arte è il modo che ha trovato Peppe che è diventato DES.