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Salina

Salina non è più nelle disponibilità della Fondazione "Dal Mare", ha navigato con noi per qualche anno e per molte miglia, l'importanza che ha avuto per la nostra esperienza e la nostra crescita culturale, marinaresca e umana la rende indelebile dalla memoria e dalla storia. Per saperne di più visita la sezione dedicata alle navigazioni.

Che cos’è una Tartana

La tartana è un’imbarcazione a vela dotata di un unico albero a calcese con vela latina alle volte affiancata da un fiocco. Quando le tartane erano armate con vela quadra, questa veniva indicata come “trevo”. Il nome è usato anche ad indicare un tipo di rete da pesca. La tartana generalmente aveva una lunghezza di 16-20 m (fino a 25 secondo altri autori) ed un coefficiente di finezza circa 3,5. Veniva spesso utilizzata nel passato sui mari italiani prevalentemente per il cabotaggio e la pesca. Presenta una stazza media dalle 30 alle 60 tonnellate.
Le tartane hanno operato nel Mediterraneo occidentale dal Medio Evo fino all’avvento delle navi a motore. Secondo alcuni studiosi, sulla base di analisi anche linguistiche e letterarie, sarebbero di origine catalana o provenzale e sarebbero state inizialmente di piccole dimensioni. Il termine però è presente anche nella lingua occitana, dove ha anche il significato di poiana, e la presenza di questo tipo di imbarcazione è registrata in quell’arco di mare fra la Catalogna e la Linguadoca in cui pochi ed omogenei erano i tipi di imbarcazioni adibiti alla pesca.
Nel XVII secolo è attestato l’uso atlantico da parte della marina di Spagna come mezzo di trasporto ed è riportata nella Architectura Navalis di Joseph Furttenbach (1629). Nel Settecento invece se ne ha dettagliata descrizione grafica nella Architectura Navalis Mercatoria di Frederik Chapman (1768), che la ritrasse nella versione a due alberi latini. Sempre nel XVIII secolo la tartana fu vastamente impiegata dalla marina di Malta, che ne dotò la flotta dell’Ordine di San Giovanni e addirittura i corsari patentati, i quali riuscivano ad armarci sino a 18 cannoncini. Nel Regno delle Due Sicilie, a cavallo fra Settecento e Ottocento, la tartana rappresenta uno dei natanti preferiti (16 su 109 imbarcazioni totali) ed è registrata fra gli armi più diffusi sin dal XV secolo. Le diverse tradizioni marinare orientavano i porti per preferenze verso l’uno o l’altro tipo di imbarcazione, così mentre la marticana rappresentava il tipo di naviglio prevalente a Procida, nella dirimpettaia Ischia si costruiva praticamente solo la tartana. Il diffuso impiego mercantile comportò peraltro il primato negativo della tartana quanto a tipi di imbarcazioni oggetto di naufragio o di abbordaggio e sequestro per pirateria, dato attestato almeno per quelle di stanza nella costiera amalfitana, ma anche in altre coste la pirateria pareva nutrire per esse buone attenzioni. Per questa ragione le si faceva viaggiare preferibilmente in convoglio, con altre imbarcazioni di scorta. Una tartana toscana, la Stella matutina, vittima di cattura nelle acque di Ventimiglia da parte di uno sciabecco tunisino, fu protagonista nel 1780 di un clamoroso incidente diplomatico fra il Granducato di Toscana ed il Regno di Sardegna: i tunisini dopo aver depredato l’imbarcazione la lasciarono alla deriva ormai vuota nei pressi dell’isola di San Pietro, dove fu recuperata dalla marina sarda. Alle richieste di restituzione furono opposte diverse resistenze da parte sabauda, e dopo che il Consolato del mare di Nizza aveva suggerito di restituirla, sebbene contro un indennizzo, i piemontesi riconobbero la qualità di corsari ai tunisini che l’avevano catturata, ed essendo i corsari nemici dei popoli in guerra con essi, esercitavano una riconosciuta sovranità che ben poteva trasferire loro la proprietà di quanto catturato, dunque la tartana era divenuta – secondo i Savoia – tunisina. Sebbene pare sia stata infine riconsegnata, e senza neanche indennizzo, l’incidente segnala intanto gli elevati valori raggiunti da una tartana, capaci di causare un incidente diplomatico; in più la gestione sabauda della questione, con questa interpretazione sfavorevole agli armatori legittimi, causò un precedente giuridico.
Nel Granducato a metà dell’Ottocento la portata di carico medio della tartana andava intorno alle 70~80 tonnellate, con un equipaggio composto di sino a circa 12 uomini. Nel neonato Regno d’Italia (dal 1860 al 1886) si attestò su proporzioni comprese tra l’8 ed il 9% del totale di flotta, scendendo al 3,2% solo con il 1905, complice anche la diffusione d’impiego di vela aurica o della combinazione quadra-aurica. Con la tartana venivano progressivamente abbandonate anche il trabaccolo, la feluca, il bove, lo sciabecco, mentre andavano diffondendosi la goletta, il cutter, il brick.
Nell’Ottocento le tartane erano di solito configurate con un albero a calcese, portante una vela latina e uno o due fiocchi; era quasi sempre presente anche una piccola vela quadra da spiegare in caso di maltempo. Durante la pesca le tartane potevano essere combinate, navigando in coppia, per il traino della rete per la pesca a strascico (più propriamente pesca “a spontiero”), prendendo il nome di paranze.
In Adriatico il nome di tartana è stato usato per indicare imbarcazioni lievemente diverse, più simili al bragozzo che non all’imbarcazione più nota nei quadranti occidentali che per questo è anche detta, accademicamente, “tartana occidentale”, mentre secondo il Boerio, per quelle adriatiche è comune la locuzione “tartana pescareccia”. Ciò si deve all’arrivo su questi mari, all’inizio del Seicento, di pescatori provenzali che introdussero il metodo di pesca poi detto in loro ossequio “alla trattana” (o “alla tratta”).
Ebbero qualche sviluppo anche scafi derivati, come la mezza tartana e il tartanone (di circa 100 tonnellate), dal quale a loro volta discendevano (in ordine decrescente di stazza) la tartanetta, la tartanella, il tartanoncino e la tartanina. La tartana, nelle sue varianti, divenne familiare all’ambiente marinaro adriatico e nelle baruffe chiozzotte di Goldoni (1762) un ruolo centrale è affidato proprio ad un padrone di tartana (Padron Toni), registrando anche per queste rive la diffusione sociale di questa figura.
Come negli altri mari, la tartana si avviò verso un progressivo declino alla fine dell’Ottocento, quando, ad esempio, delle 150 tartane censite a Chioggia nel 1784, ne restavano armate soltanto 2, le altre essendo state rimpiazzate principalmente dai più economici bragozzi.

(fonte Wikipedia)

 

L’armo aurico

L’armo aurico consiste in una vela a trapezio sostenuta in alto da un picco, con la caduta prodiera fissata all’albero tramite paternoster, con la base fissata al boma e con la caduta poppiera più lunga e libera.
Davanti all’albero stanno una trinchetta e un fiocco. I fiocchi sono inferiti tramite garrocci su stralli che vanno dall’albero al bompresso.
Il picco viene drizzato tramite due drizze con paranchi, una di gola vicino all’albero, l’altra di testa che solleva l’estremità poppiera del picco.
Sopra la maestra c’è una controranda (detta freccia) tenuta a riva da due antenne che la fanno sporgere di un buon terzo dalla congiungente testa dell’alberetto e varea dl picco.
Per le manovre dei picchi le drizze dispongono di paranchi, le antenne hanno un semplice rinvio sui bozzelli, non esistono vericelli e tutte le manovre si effettuano a mano.

 

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Dal diario di bordo di Taranto-Sparta

“…La sensazione è quella di stare non su una barca, ma su di una creatura viva perfettamente a suo agio nel suo ambiente naturale, procede pachidermica ma a velocità costante, rolla! …ma così pesante, larga e bassa sull’acqua, la sua rollata risulta lenta e dolce, nè pericolosa nè fastidiosa. Al timone, specialmente in andatura cosi larga bisogna stare un po’ attenti, la barca viaggia generalmente abbastanza in rotta, ma il lavoro sulla barra è durissimo, bisogna fare pochissimo ma spesso, se per distrazione si dovessero accumulare troppi gradi di strapoggia, la barra è così dura e pesante, e la barca così poco sensibile a grandi correzioni, che la strambata è inevitabile, e qui ci sono le volanti! …una cosa diventata sempre più chiara: che significa veramente barca marina!”

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Il restauro

La prima sfida che abbiamo affrontato è stata quella di risalire al tipo di barca che ci prestavamo a restaurare.
Da una prima ricerca eravamo giunti alla conclusione che si trattasse di un leudo ligure, imbarcazione utilizzata per il trasporto di varie merci: vino, formaggio ma anche pietre e sabbia, cosa avvalorata dai ricordi del maestro d’ascia Cataldo Basile, a cui ci siamo rivolti per iniziare i lavori.
Poi, osservando alcuni dettagli dei vari disegni trovati in rete, siamo giunti alla conclusione che si tratta di una tartana, anche essa adibita al trasporto merci.Il vecchio proprietario aveva ovviamente fatto ricostruire gli interni, rendendoli più confortevoli, dotandoli di un bagno con wc marino, di una cucina ed un piccolo frigorifero. I divani della dinette si trasformano in due comodi letti ed altre due persone posso dormire a prua, certo rispetto alle barche di moderna concezione l’ambiente risulta spartano, ma le dotazioni ed i comfort ci sono tutti, compresi una radio con lettrore cd per la musica, senza dimenticare la piacevole fragranza del legno all’interno.
Il tempo aveva lasciato il segno sulla barca, e su tutte le sue attrezzature. E’ stato necessario fare un grosso lavoro di pulizia, scartavetrando e portando a legno tutta la tuga ed il ponte. Si è deciso di trattare a coppale tutte le parti in legno, è una scelta che ”condanna” a continue carteggiature e verniciature, ma quando l’occhio si posa sul mogano del fasciame, sulla quercia delle ordinate, e sul pitch-pine di albero, boma e bompresso,  ogni sacrificio viene ampiamente giustificato e ripagato.
Salina ha avuto bisogno anche di alcuni lavori di ricostruzione e sostituzione di fasciame. Si è rivelata questa un’opportunità e non un problema. Ci ha permesso infatti di entrare in contatto diretto, ed affiancare nel suo lavoro, la figura del Maestro d’ascia. Non ce ne sono più tanti, ma “Mest Catald”, in pensione ma ancora estremamente efficace, ha sguainato  ancora una volta la sua potente ascia e la sua preziosa maestranza. Il restauro si è trasformato in un laboratorio condiviso con appassionati, studenti e tanti incuriositi da quest’uomo che con i suoi semplici attrezzi e la sua affascinante maestria, dava forma al nuovo legno e riportava Salina a navigare in perfetta forma e in totale sicurezza.
Sono state sostituite alcune tavole dell’opera viva a dritta e a sinistra, sono stati sostituiti alcuni bagli del pozzetto e ricostruito completamente un tambucio, modificandolo e migliorandone la funzione. Sono state aggiunte quattro bitte ed installato un winch di servizio a poppa (da utilizzare per il tonneggio o in caso di necessità), oltre alla ricostruzione di vari componenti (bigotte, gaffe dei boma, formaggette, etc.). Anche l’albero è stato sbarcato, e con l’aiuto dei maestri Nino a Paolo Marci, completamente riverniciato e sostituito tutte le sue componenti di forza (i tacchi di supporto delle sartie, le scasse delle pulegge di testa d’albero, la formaggetta, etc.). Inoltre tutto il sartiame è stato sostituito.
La propulsione di Salina infine è stata garantita da una accurata revisione del suo 90 cavalli ed un gioco di vele nuovo, confezionato dal nostro velaio Luigi è giunto a bordo con tutte le nuove manovre e i circuiti.  E’ così che Salina ha potuto riprendere il mare per la sua e soprattutto la nostra gioia!

Ecco un breve montaggio di alcune fasi del restauro dove si può apprezzare il Maestro d’ascia Cataldo Basile all’opera!